Nei primi sei mesi del 2016 in Italia ci sono state 14.600 nascite in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Lo certifica l’Istat facendo un bilancio della natalità al giro di boa dell’anno in corso. In totale da gennaio a giugno si sono registrati 221.500 nuovi nati contro i 236.100 di un anno fa. In termini percentuali si tratta di un crollo del 6%, un tasso mai registrato in epoca recente anche se perfettamente in linea con il trend di denatalità imboccato dal nostro Paese da oltre 20 anni a questa parte. Il dato potrebbe anche peggiorare per la fine dell’anno, come avvenuto nel 2015, quando il calo a metà anno era solo del 2% per poi arrivare al 3% al computo finale dei 12 mesi.
Se guardiamo i numeri assoluti dal 2010 la denatalità ha inanellato ogni anno nuovi record negativi: nel 2014 abbiamo toccato il minor numero di nascite dall’unità d’Italia a questa parte; nel 2015 siamo andati oltre, scendendo sotto la drammatica soglia psicologica delle 500mila unità (484.780 nuovi nati).
Tuttavia si tratta di dati che potrebbero indurre in errore anche gli analisti più quotati. Molti parlano, a sproposito, di un effetto della crisi economica che attanaglia la penisola e l’intera Europa dal 2008 senza mollare la morsa. In realtà se si guarda all’ultimo tasso di fecondità medio disponibile, ovvero quello del 2015, si vede che gli 1,35 figli per donna non sono molto al di sotto del tasso europeo che vede un sempre misero 1,6, ma soprattutto si evince che il dato è in linea con quello degli ultimi trent’anni. Si, proprio così, nel 1986 la fertilità delle italiane produceva 1,35 figli per donna. Anzi il periodo più nero è stato nel decennio tra il 1993 e il 2003, con un tasso di fecondità sempre al di sotto dell’1,30 (nel 1995 si tocco il fondo con 1,18 figli per donna).
Si è dunque assisto perfino ad una leggere ripresa in questi ultimi quindici anni. Allora perché, se si parla di cifre assolute, le culle sono sempre più vuote? Semplice, la risposta va trovata nella mutazione antropologica della cultura e della famiglia italiana avvenuta a cavallo tra gli anni ‘70 e ’80 del secolo scorso. L’onda lunga della pensiero nichilista del ’68 e le politiche anti-famiglia e anti-vita hanno fatto sì che oggi ci siano molte meno donne e uomini in età fertile rispetto a trent’anni fa.
Il fenomeno viene spiegato perfettamente, da Angela Silvestrini, prima ricercatrice dell’Istat e responsabile dell’indagine sul bilancio demografico, in un’intervista rilasciata alla Radio Vaticana: “Che cosa è successo negli ultimi 30 anni? Possiamo dire che il numero dei bambini, in valori assoluti, come numero di nascite, diminuisce e questo fa sì che anche le potenziali madri di oggi siano inferiori rispetto alle potenziali madri di 30 anni fa. Se ogni donna ha un figlio, riproduce se stessa. Quindi, se prima avevamo 500 mila donne che avevano un bambino, facevano 500 mila nati; nel momento in cui noi abbiamo 250 mila donne che fanno un bambino, avremo 250 mila nati”. “Cioè, noi vediamo – ha proseguito la Silvestrini – che una struttura di popolazione, un numero di donne sempre più ridotto che mette al mondo bambini, porta conseguentemente a una riduzione delle nascite in valori assoluti”.
La ricercatrice dell’Istat arriva quindi alla conclusione che “questa riduzione continuerà sempre”, perché “o aumenta la fecondità delle donne, oppure il numero dei bambini che nascerà in futuro sarà sempre più basso”. Insomma i freddi numeri dell’Istat distruggono ogni previsione catastrofistica neo-malthusiana, che fino a qualche anno fa ancora lanciava previsioni allarmanti riguardo a fantomatiche bombe demografiche che porteranno la popolazione alla fame. Infatti con questo trend la popolazione italiana diminuirà di diversi milioni di unità nel giro di qualche decina di anni.
I dati potrebbero essere ben peggiori se non fosse per le cittadine straniere che continuano ad avere un tasso di fecondità di almeno due figli, sebbene anche fra esse di avverte una sensibile contrazione delle nascite. Tutto questo succede mentre circa 200mila famiglie italiane stanno beneficiando dell’assegno del governo varato nella scorsa finanziaria – e lo faranno per i prossimi tre anni – e mentre sono allo studio nuove misure di sostegno alla natalità. Ma è proprio il dato delle immigrate a porre le questioni di ordine sociale e antropologico cruciali in questa vera e propria sfida per la sopravvivenza. Se infatti il fenomeno fosse condizionato solo dagli indicatori economici, non si spiegherebbe perché sono proprio coloro che rientrano nelle fasce di reddito più basse quelli più propensi a programmare una famiglia numerosa.
E poi non serve scomodare un demografo per analizzare il fatto che la natalità sia scesa sotto il tasso di sostituzione dopo la legge sul divorzio del 1970, e che sia crollato dopo quella sull’aborto varata nel 1978. Eppure, durante questi decenni, in pochi hanno capito che per invertire la tendenza la famiglia andava rafforzata e non distrutta. La destrutturazione della famiglia si è quindi operata sia sul piano giuridico quanto su quello culturale. Tutti i pezzi da novanta dell’intellighenzia Occidentale da quarant’anni a questa parte non hanno fatto altro che descrivere la famiglia come la panacea di tutte le frustrazioni dell’individuo, di tutte le aspirazioni personali. Padri demonizzati e madri presentate come povere fallite improduttive.
Ora i governi assistono impotenti a questa onda lunga delle rivoluzione antropologica. Ma invece di cambiare la rotta si prosegue con la rottamazione diritto naturale. E allora l’offensiva verso la famiglia riceve un’accelerazione decisiva con l’ultimo governo del cattolico Renzi. Divorzio lampo e unioni civili già diventate legge, e altri disegni di legge già messi a punto e pronti per completare l’opera: matrimonio egalitario, adozioni per single e coppie dello stesso sesso, regolamentazione della gestazione per altri (utero in affitto) e della fecondazione eterologa. Uno stravolgimento normativo del diritto di famiglia, che ha come principio guida la necessita di sganciare la procreazione e la filiazione da ogni forma di legame biologico. Insomma, i figli non devono essere una prerogativa di un progetto di vita insieme tra un uomo e una donna. Il conto di questo nuovo terremoto sarà presentato molto presto, non servirà attendere le prossime statistiche.